Carne svi­z­zera

Wagyu svi­z­ze­ro? Da Bianchi!

Hansruedi Zimmermann è un pio­nie­re del Wagyu svi­z­ze­ro. Da que­st’e­sta­te, fa cau­sa comu­ne con Bianchi.

Testi: Kathia Baltisberger | Foto: Thomas Buchwalder

Il pio­nie­re. La neb­bia è bassa sul­la bassa val­le dell’Aare. Ma i buoi Wagyu di Hansruedi Zimmermann non sono inter­es­sa­ti a que­sto uggio­so cli­ma autun­na­le. Hanno di meglio da fare: un harass­li pie­no di suc­co­se spig­he di mais. L’allevatore di Villigen glie­lo dà inte­ro e gli ani­ma­li lo masti­ca­no volen­tie­ri. Zimmermann è un pio­nie­re del wagyu. È sta­to il pri­mo ad alle­va­re que­sta raz­za di bovi­ni, ori­gi­na­ria del Giappone, nel nostro Paese. Questo acca­de­va cir­ca 17 anni fa. Un viag­gio avven­tur­o­so. „Abbiamo semp­re dovu­to spe­ri­men­ta­re. E c’er­ano semp­re nuo­vi ost­aco­li sul­la nost­ra stra­da“, spie­ga Zimmermann. Nonostante gli ost­aco­li, il pia­ce­re degli ani­ma­li – e del­la car­ne – è rima­sto intatto.

Dario Bianchi ha visi­ta­to gli ani­ma­li in loco e ha aiuta­to a nutrirli.
I vitel­li: le ulti­me muc­che Wagyu sono nate in agosto.
La fat­to­ria di Hansruedi Zimmermann si tro­va a Villigen, nel Canton Argovia.

Niente ormo­ni! L’alimentazione è una del­le mag­gio­ri aree di spe­ri­men­ta­zio­ne fino ad oggi. Oltre al mais, i wagy­us ven­go­no nut­ri­ti con pata­te, barba­bie­to­le e una mis­ce­la di con­cen­tra­ti. „Il mais con­fe­ris­ce alla car­ne un sapo­re leg­ger­men­te dol­ce“, spie­ga Zimmermann. Ma ren­de anche il gras­so del­la car­ne leg­ger­men­te gial­las­tro, motivo per cui l’a­li­men­ta­zio­ne a base di mais vie­ne inter­rot­ta tre set­ti­ma­ne pri­ma del­la macel­la­zio­ne. Oltre all’alle­va­men­to, l’a­li­men­ta­zio­ne influis­ce anche sul­la mar­moriz­za­zio­ne. La car­ne di Wagyu è sple­ndi­da­men­te stria­ta. Ma: il Wagyu svi­z­ze­ro non può esse­re para­gon­a­to al Wagyu stra­nie­ro o alla car­ne di Kobe. „In Svizzera, i trat­ta­men­ti ormo­n­a­li e le modi­fi­che gene­ti­che sono vieta­ti“, spie­ga Zimmermann.

L’agricoltore è pas­sa­to dal­l’alle­va­men­to di besti­ame da lat­te all’alle­va­men­to di wagyu. E con successo.
In tota­le, Zimmermann alle­va 57 bovi­ni Wagyu nella sua fattoria.

Massaggio alla bir­ra? Eppure il wagyu argo­vie­se si distin­gue dal­le alt­re car­ni bovi­ne. Sia visi­v­a­men­te che in ter­mi­ni di gusto. Ma Zimmermann non è un gran­de sosteni­to­re dei trat­ta­men­ti alla bir­ra. Né dal­l’in­ter­no né dal­l’e­ster­no. „Non fa mol­to per il gusto, ma al besti­ame pia­ce esse­re mass­ag­gia­to con la bir­ra – e il suo man­to diven­ta piut­to­sto luci­do“. L’agricoltore inno­va­tivo ha per­si­no acquist­a­to un auto­la­vag­gio per offri­re ai wagy­us un ben­es­se­re self-ser­vice. Gli ani­ma­li avreb­be­ro sicu­ra­men­te apprez­za­to, le auto­ri­tà meno. Eppure gli ani­ma­li non sono stres­sa­ti. Nemmeno duran­te la macel­la­zio­ne. Quel gior­no, il macel­lo deve esse­re com­ple­ta­men­te vuo­to, per­ché il mini­mo stress influis­ce sul­la qua­li­tà del­la carne.

Hansruedi Zimmermann ha effet­tua­to le sue prime ‚pro­ve‘ con i bovi­ni Wagyu nel 2004.

Gli chef lo ado­rano. Anche Dario Bianchi, co-diret­to­re del salu­mi­fi­cio Bianchi, è entus­ia­sta del­la qua­li­tà. Da que­st’e­sta­te, lavo­ra con Hansruedi Zimmermann. „Ogni quin­di­ci gior­ni, pren­dia­mo due ani­ma­li inte­ri“, spie­ga Bianchi. La gam­ma com­pren­de ham­bur­ger di Wagyu, car­pac­cio, tar­ta­re, car­ne maci­n­a­ta e, natur­al­men­te, tag­li nobi­li come il filet­to e l’en­tre­côte. Ma sono i secon­di col­tel­li ad ave­re più suc­ces­so. „Gli chef ci strap­pa­no pra­ti­ca­men­te dal­le mani le bistec­che e le bavet­te“. Sono dis­po­ni­bi­li anche il cuo­re e la lin­gua di man­zo. Questi tag­li nobi­li ven­go­no ser­vi­ti, ad esem­pio, da „Kin“ a Zurigo, „Rosa Pulver“ a Winterthur e „Mulania“ a Laax. Per far sì che l’or­di­ne si tras­for­mi in un’e­s­pe­ri­en­za culi­na­ria indi­men­ti­ca­bi­le per il cli­ente, anche lo chef deve dare il suo con­tri­bu­to. Il pun­to di fusio­ne del gras­so è mol­to bas­so, quin­di la car­ne non è fat­ta per esse­re gri­glia­ta cal­da, ma deve esse­re cot­ta con cura.